Sono nato tre settimane fa, in una solitaria capanna per gli attrezzi nel bosco. La mamma fino a questa mattina era sempre tornata; quando rientrava dalla sua caccia, io e i miei cinque fratellini e sorelline le saltavamo addosso, ancora un po’ goffi e incerti, mangiavamo fino a scoppiare e poi ci litigavamo il posto nell’angolo più caldo della sua pelliccia nera.
Ma adesso è buio. E fa freddo. Mi sono allontanato dai miei fratelli, non so più nemmeno dove si trovino; io vorrei salire in alto su quella catasta di legna ma ogni volta cado e torno al punto di partenza. E ho anche fame. Molta fame. Ho provato a chiamarla, la mamma, ma ho paura che si sia dimenticata di noi.
Il bosco è pieno dei soliti suoni e rumori, ma questa notte mi fanno paura. Non c’è più quell’angolo caldo dove sento battere il suo cuore.. e io ho tanto freddo. Anche la mia voce si sta facendo più fioca.
…
Dormivo? Ho sentito un rumore ancor più vicino. Stavo sognando? Delle foglie calpestate, forse. Dei rami spezzati? “Mamma? Sei tu? Sei tornata?!!”
No, non è la mamma!! Mi sento sollevato in aria, ho paura, mi dibatto ma non ho la forza di scappare. Allora tento di graffiare quella cosa che mi ha catturato; non mi fa male, è vero… ma io voglio fuggire.
E mi ritrovo all’esterno della capanna, l’aria è persino più pungente, adesso. Quella ‘cosa’ continua ad impedirmi i movimenti, ma è calda e morbida. Sembra quasi accarezzarmi la testa e soffiarmi un alito tiepido sul dorso.
“Stai tranquillo, piccolino, adesso ci sono qua io. Andiamo a casa.”
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