Stanno accadendo troppe cose e non sono ancora sicuro che mi piacciano. La mamma mi ha infilato nel trasportino e mi ha messo in auto. Io adoro i viaggi in auto – specie quelli lunghi – però questo ha un sapore strano. Anche la mamma è strana; mi ha guardato a lungo, prima di chiudere la reticella, adesso sento che mi parla, mentre guida, eppure c’è una nota, un tremore, nella sua voce. E poi.. dove stiamo andando?
Scendiamo dall’auto, la mamma suona il citofono di una abitazione che non conosco. Ci aprono il cancello, entriamo. Dentro, è tutto buio. Con la sua solita gentilezza, la mamma mi fa uscire dal trasportino; c’è tanto spazio da esplorare, anche scale che salgono e scale che scendono. E’ come se stessimo aspettando che succeda qualcosa, però. Siamo in attesa. Di che cosa? Di chi?
Rumori all’esterno. Voci. C’è agitazione, lo sento. Un’agitazione gioiosa, questo lo capisco, ma preferirei comunque un po’ di tranquillità. “Mamma? Che cosa stiamo aspettando? Perché non mi riporti a casa?”
Ecco entrare nella casa buia un uomo, due ragazze. Fuori ancora voci. No, non proprio voci: una voce di donna e… sì, è un cane! Un cane? Io sono cresciuto in una casa con due cani, mi leccavano e facevano giocare, ma.. insomma.. un cane è sempre un cane! E soltanto una porta di ingresso lo separa da me!
L’uomo che è entrato per primo si accuccia e allunga la mano. Lo riconosco dall’odore, è lo stesso uomo che – settimane fa – avevo incontrato e sul quale mi ero arrampicato fino a raggiungere la sua barba. Era insieme a quella donna dallo sguardo un po’ triste. Sì, me li ricordo bene. Ma non capisco ancora..
Sto per azzardare qualche passo verso quella mano tesa e mi blocco per il trambusto. Rumore di zampe sul parquet, respiro affannato. “Flynn!!! Fai piano! Giù a cuccia!”
Un cane.. A un metro da me. Mi fissa come fossi un giocattolo nuovo. Non so che cosa fare. Forse è meglio tornare ad annusare la sala. Forse è meglio tornare a casa mia, tutto sommato.
“Mamma? Andiamo…? Dove sei finita??”
“Ciao cucciolotto, non avere paura. Ti ricordi di noi? Non avere paura nemmeno di Flynn: è un giocherellone, ma è buono, sai?
…
…Ti piace la tua nuova casa…?”
[esistono persone che
hanno il coraggio di salvare animali destinati
alla morte.
E che, in seguito, hanno ancora,
tra le lacrime,
il coraggio di
affidarli ad un’altra famiglia..]
Io e il mio fratellino siamo cresciuti molto, ormai. Stiamo iniziando a mangiare da soli dal piattino, ci rincorriamo sulle nostre zampe malferme; quando la stanchezza ci coglie, ci appallottoliamo l’uno contro l’altro e potremmo sembrare un unico gomitolo grigio.
Oggi è una giornata particolare. La mamma ci ha messi nel trasportino e siamo tornati dalla dottoressa. Lei ci tocca, ci massaggia con delicatezza, ci sorride: credo sia fiera di come siamo entrambi riusciti a costruirci un destino diverso da quanto ci si poteva attendere.
Ma oggi è una giornata particolare anche per un altro motivo. Fuori dall’ambulatorio la mamma si è incontrata con due persone. Ha aperto lo sportellino e siamo stati liberi di uscire e scorrazzare nell’erba. Quell’uomo e quella donna parlavano gentilmente con la mamma, ma anche loro non smettevano di toccarci, massaggiarci con dolcezza e sorriderci. L’atmosfera era allegra – chi potrebbe infatti resistere a due futuri combinaguai come me e mio fratello?? – e tuttavia un po’ triste… nostalgica, ecco. Era come se, mentre mi accarezzavano, quelle due persone pensassero a… qualcun altro. Qualcun altro che io gli ricordavo tanto. Queste cose le capisci, non c’è bisogno di dirle a voce.
E allora io mi sono messo a fare una cosa: sono corso sul fondo del trasportino e mi sono messo a grattare con furia sulla parete! “Ma che cosa fa? Non l’ha mai fatto, prima!”
“Il nostro gattino lo faceva sempre! Odiava le porte chiuse. Lui lo faceva sempre.”
Eccomi di nuovo in un posto caldo e accogliente. L’unico suono che sento sono le fusa del mio fratellino: ci ritroviamo insieme in un luogo che non conosciamo ma che ci sembra benevolo.
Quella mano morbida che mi aveva sollevato dal terreno umido, districandomi dai ramoscelli, adesso è la stessa che ogni tanto ci solleva, ci accarezza dolcemente… ma soprattutto ci fa entrare nella pancia un latte che assomiglia tanto a quello che ci dava la mamma!
Non è facile andare avanti senza di lei. Quasi avevamo appena aperto gli occhi e stavamo solamente iniziando ad esplorare il mondo… Quella nostalgia che mi prende, però, ogni istante che passa viene soppiantata dalla gratitudine che provo nei confronti della mia “mamma adottiva”.
E’ solo grazie a lei che oggi io e mio fratello siamo qui, in mezzo ai panni, acciambellati l’uno contro l’altro, a dormire placidamente.
Che cosa l’avrà condotta a passare nel bosco in quel momento? Come avrà fatto a sentirci? Perché ha deciso di salvarci?
Non so rispondere nemmeno a una di queste domande.
Ma so dire “grazie, mamma… è solo grazie a te che sono nato una seconda volta…”
Sono nato tre settimane fa, in una solitaria capanna per gli attrezzi nel bosco. La mamma fino a questa mattina era sempre tornata; quando rientrava dalla sua caccia, io e i miei cinque fratellini e sorelline le saltavamo addosso, ancora un po’ goffi e incerti, mangiavamo fino a scoppiare e poi ci litigavamo il posto nell’angolo più caldo della sua pelliccia nera.
Ma adesso è buio. E fa freddo. Mi sono allontanato dai miei fratelli, non so più nemmeno dove si trovino; io vorrei salire in alto su quella catasta di legna ma ogni volta cado e torno al punto di partenza. E ho anche fame. Molta fame. Ho provato a chiamarla, la mamma, ma ho paura che si sia dimenticata di noi.
Il bosco è pieno dei soliti suoni e rumori, ma questa notte mi fanno paura. Non c’è più quell’angolo caldo dove sento battere il suo cuore.. e io ho tanto freddo. Anche la mia voce si sta facendo più fioca.
…
Dormivo? Ho sentito un rumore ancor più vicino. Stavo sognando? Delle foglie calpestate, forse. Dei rami spezzati? “Mamma? Sei tu? Sei tornata?!!”
No, non è la mamma!! Mi sento sollevato in aria, ho paura, mi dibatto ma non ho la forza di scappare. Allora tento di graffiare quella cosa che mi ha catturato; non mi fa male, è vero… ma io voglio fuggire.
E mi ritrovo all’esterno della capanna, l’aria è persino più pungente, adesso. Quella ‘cosa’ continua ad impedirmi i movimenti, ma è calda e morbida. Sembra quasi accarezzarmi la testa e soffiarmi un alito tiepido sul dorso.
“Stai tranquillo, piccolino, adesso ci sono qua io. Andiamo a casa.”